beato Charles de Foucauld

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Può sembrare strano pensare a Charles de Foucauld come a una figura esemplare ai fini della missione della Chiesa. Egli, che pure aveva “perduto il cuore per Gesù di Nazaret”, e che desiderava nel nome di Cristo farsi fratello universale dei Tuareg nel deserto, non ottene tra costoro nel corso della sua vita alcuna conversione esplicita al cristianesimo. Né peraltro sembrava essere questa la sua maggiore preoccupazione; il dottor Dautheville, medico di famiglia protestante, giungendo nel 1908 a Tamanrasset gli domandò: “Che cosa fate per convertire i Tuareg?”, e Charles rispose: “Io non cerco di convertirli; cerco di migliorarli. Voi  siete protestante, un altro può essere non credente, loro sono musulmani. Sono convinto che un giorno ci ritroveremo tutti in paradiso; ma perché ciò avvenga, dobbiamo meritarlo”. E in una sua meditazione annota: “Amare il prossimo, vale a dire tutti gli uomini, come noi stessi… è l’unico compito per noi in questo mondo, l’unica cosa di cui occuparsi”.

La missione, allora, era per quest’uomo anzitutto la continua ricerca della propria conversione, come testimonia pressoché ogni pagina dei scuoi scritti; in secondo luogo, essa consisteva nella testimonianza dell’amore evangelico, che sgorga dal cuore di chi sa di essere stato amato da Dio “mentre era peccatore”, come ricorda san Paolo. Chi ha compreso questo, può davvero diventare fratello universale di tutti gli uomini. 

tratto da: Charles de Foucauld, testi di Michele Aramini

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